A ruota libera
Non me ne voglia nessuno se ogni tanto parlo della professione e di quello che vivo ogni giorno, e che naturalmente vivono anche i miei Colleghi. Ci sono aspetti che grosso modo potremmo definire “tecnici” che a qualcuno potrebbe essere utile conoscere, come una mia statistica personale per esempio, con qualche commento.
La schiacciante maggioranza di coloro che visitano uno psicologo hanno problemi con radici nell’infanzia (anche quando si tratta di un problema d lavoro o coniugale): piccoli o grandi fatti, ambienti, traumi, presenze o assenze sperimentate nell’infanzia o comunque di solito prima dell’adolescenza. E quando dico “la schiacciante maggioranza” intendo questo letteralmente.
Anche la nostra indole ha ovviamente a che fare con i nostri problemi; nel complesso impasto dei fattori che ci portano a parlare con uno psicologo c’è un dato fondamentale: la nostra vita non si sviluppa solo sulla base di ciò che ci succede ma in particolare sulla base di come reagiamo a ciò che ci succede. Ma noi reagiamo così perché ci è successa la tal cosa! Sì, certamente, condizionamento genera comportamento che genera a sua volta condizionamento e comportamento, sempre più radicati e via così. Una frase che circola periodicamente sui social e che viene attribuita a vari personaggi, da Buddha a Platone, passando per qualche Santo, sintetizza molto bene questa dinamica; dice, vado a memoria, che il nostro destino ha le sue radici nei nostri pensieri i quali, se ripetuti, diventano convinzioni, che se ribadite si trasformano in gesti, abitudini e poi ancòra azioni, poi dettano le scelte e quindi il destino. In effetti funziona proprio così, e gli psicologi servono proprio a far cambiare traiettoria a qualche circolo vizioso in cui ci si trova impantanati, anche gravemente.
Un’altra caratteristica che unisce quasi tutti i pazienti è che la concentrazione sui problemi (o su un problema di fondo, quando lo scoprono) li fa vivere come se niente altro esistesse e loro vivessero dentro una bottiglia tappata. Lo so che la sensazione è esattamente questa, ”imbottigliati “ (senso di impotenza e pessimismo); del resto, in alcune fasi per il paziente è impossibile prendere in considerazione o accettare di essere un caso “comune” termine che suona come “molto diffuso, frequente da riscontrare” ma anche “banale”. Individualmente considerato, niente è definibile “banale”, ma se sottolineo la numerosità di esseri umani che vivono le stesse cose, è perché prendere coscienza che non si è soli nella condizione che si sta vivendo può essere salutare; chi lo comprende in genere cerca di trovare un’associazione di mutuo aiuto, una pagina social in cui riconoscersi, discutere il problema con altri, magari prova a crearle lui; insomma, passa all’azione, cioè inizia a vedere oggettivamente il problema e, in prospettiva, forse a chiudere delle ferite.
E quelli che dallo psicologo non ci vanno e non ci vorranno mai andare? Conosciamo tutti qualcuno così. Loro sfuggono a questa statistica? No, malgrado loro, rientrano pienamente nella stessa statistica come tutti gli altri, la differenza è solo che non lo sanno e probabilmente non lo sapranno mai.
Intanto buon Natale e buon 2019!