Imparare il distacco: dalla separazione alla separatezza
E’ soprattutto la psicoanalisi che si è occupata di analizzare ed interpretare le attività mentali del bambino nei confronti della figura di accudimento: partendo da una impostazione intrapsichica pulsionale (Sigmund Freud) si è passati ad una teoria delle relazioni oggettuali (Melanie Klein), per arrivare a Donald Winnicott che meglio di tutti evidenzia l’importanza del legame tra sviluppo mentale ed ambiente. Egli traccia il percorso di maturazione partendo dalla dipendenza assoluta per arrivare all’indipendenza ,anche se questa non è mai assoluta, in quanto l’individuo interagisce con il proprio ambiente. Tale iter si sviluppa in tre momenti a cominciare dalla dipendenza assoluta che nasce dapprima nella mente della madre che sente il neonato come parte di sé identificandosi con lui, intuendone sensazioni e bisogni. In questa fase la madre potrà permettere il naturale svolgimento del processo di maturazione che Winnicott asserisce già in parte posseduto ereditariamente dal bambino (evoluzione dell’Io, del Sé, dell’Id, delle pulsioni e delle loro vicissitudini). Ma è anche in questo momento la madre dovrà riappropriarsi della propria vita mentale, indipendentemente dai bisogni del neonato, offrendogli la possibilità di sperimentare anche sentimenti aggressivi e cominciare così a sviluppare un pensiero autonomo ,coniugando l’aggressività con l’amore. La seconda fase prevede la dipendenza relativa che permette al bambino un deadattamento graduale dalla madre. In questo periodo che va dai 6 mesi ai 2 anni ,l’infante è consapevole della dipendenza e quindi reagisce all’assenza della madre con ansia, successivamente il bambino avrà gli strumenti
per affrontare l’allontanamento da lei. Attraverso l’identificazione con lei prima e con entrambi i genitori poi, il bambino comincia a percepire un interno ed un esterno della pelle, cioè un “me” posto dove conservare le cose e un “non me”. Ora il bambino non è solo un attore passivo, ma anche creatore del mondo con elementi della propria vita interiore. A questo punto egli ha dentro di sé sia le potenzialità per identificarsi con il proprio ambiente sociale con cerchi sempre più ampi, sia l’acquisizione di una capacità di stare da solo. E’ importante il concetto “io sono solo” per la mente del bambino nella costituzione del pensiero “io sono”, in quanto espressione della consapevolezza che egli ha della continuità dell’esistenza di una madre attendibile.
Col passare del tempo l’individuo diventa capace di rinunciare alla presenza reale di una figura materna grazie all’istaurarsi di “un ambiente interno”, frutto dell’introiezione, in quanto a poco a poco l’ambiente viene inglobato e strutturato nella personalità dell’individuo che ,aggiunto allo sviluppo di nuove sue competenze, che gli permetterà di essere solo di fatto. “Gli adolescenti si potrebbero definire esseri isolati” continua Winnicott, in quanto strutturano la loro modalità comunicativa allo scopo di proteggere il loro Sé centrale, cioè le scoperte e le conquiste personali che vengono protette prima di essere divulgate e confrontate col mondo degli adulti.
Anche la Klein ha affrontato questo argomento sostenendo che la capacità di essere solo dipende dall’esistenza di un oggetto buono all’interno della realtà psichica dell’individuo. Il rapporto con i propri oggetti interni unito alla fiducia verso le relazioni interne, offre di per sé una sufficiente pienezza di vita, così che il bambino sia in grado di sostenere temporaneamente l’assenza di oggetti e stimoli esterni.
Melanie Klein si è anche interessata al sentimento di solitudine, il sentirsi solo indipendentemente dalle circostanze esterne. Questa solitudine nascerebbe dalle angosce paranoidi e depressive che il bambino attraversa; dobbiamo quindi riferirci ai primi 3 mesi di vita dove è già attivo un Io dominato da meccanismi di scissione, in quanto attraverso la proiezione nella figura materna vengono scissi ed evacuati gli impulsi cattivi di distruzione e morte, che provocano un senso di insicurezza paranoide. Tenendo per sé la parte buona dell’Io e l’oggetto buono, il bambino crea così la base per l’istaurarsi di un senso di sicurezza. Nei mesi seguenti il rapporto soddisfacente con la figura materna percepita come totalizzante e gratificante, genera l’inconscio rimpianto di un paradiso perduto. La depressione e la nostalgia di questa perdita irreparabile, sommata ai fantasmi persecutori degli impulsi distruttivi residui, sono le radici per l’insicurezza e la base per il senso di solitudine. Ma la qualità dell’Io, per tutta la vita, dipenderà dalla capacità di integrazione degli impulsi distruttivi (morte) con quelli d’amore (vita), e questa non sarà mai stabile e definitiva, ma ogni qualvolta nascerà un conflitto e la persona sentirà il pericolo che i primi prevalgano sui secondi, si creerà un senso di solitudine. Quella stessa che Wilfred Bion ha descritto nel suo lavoro Il fratello immaginario come il bisogno di ognuno di noi di recuperare totalmente le parti non-comprese e scisse, allo scopo di ricostruire l’integrità della propria personalità e raggiungere così una “comprensione” completa.
Il senso di solitudine è quindi maggiore in quelle persone che hanno fatto della loro vita una lunga serie di identificazioni proiettive così come magistralmente analizzato dalla Klein attraverso l’interpretazione del romanzo di Julien Green If I were you. Dove parti indesiderate del Sé vengono proiettate in altre persone, e parti di altre persone sono introiettate a loro volta: una continua rincorsa basata sull’invidia dell’essere. Questo genera il sentimento conclusivo di non godere il pieno possesso del proprio Sé, cioè di non appartenere completamente a se stessi.
Il binomio senso di solitudine e integrazione comprende anche la capacità e la tolleranza della perdita della idealizzazione dell’oggetto buono e quindi di una parte di Sé; tale processo è massimo all’inizio della nostra vita e tende ad attenuarsi con l’esame della realtà esterna. La stima degli altri e il successo possono essere usati contro la solitudine, anche se possono rivelarsi controproducenti se utilizzati in modo eccessivo.
Di conseguenza la Klein afferma che vi è una reciproca influenza tra fattori interni ed esterni nell’aumento o diminuzione del senso di solitudine, in particolar modo riveste importanza l’atteggiamento di persone ritenute significative per l’individuo.
Il necessario abbandono dei legami oggettuali infantili, allo scopo di diventare membro della società adulta, fa si che l’autostima e l’umore siano sempre più influenzabili da fonti esterne. Inoltre le pulsioni si innescano in una nuova situazione libidico-fisica, dove sempre e comunque interagiranno con l’ambiente. Winnicott dimostra come il processo di separazione-individuazione abbia un andamento oscillatorio pendolare tra movimenti di regressione e progressione: dove da una parte vi è un distacco dall’Io genitoriale, dall’altra deve fare i conti con l’intensificarsi delle pulsioni: ne risulta un Io relativamente debole e l’instaurarsi di crisi d’ansia e di autostima.. Disordine nell’apprendimento, mancanza di scopi, continui rinvii, cattivo umore e negativismo, sono spesso segni sintomatici di crisi o fallimento nel distacco dagli oggetti infantili e una deviazione del processo di individuazione. Spesso i ritardi sono da tesi ad evitare l’aspetto doloroso del processo del distacco; gli agiti dello scappare di casa, della promiscuità o droga sostituiscono l’allontanamento psicologico dalla dipendenza infantile e sono l’espressione di una reazione forzata contraria alla regressione. L’incapacità di separarsi dagli oggetti infantili, se non attraverso la fuga o la svalutazione e il rifiuto, viene vissuto dal giovane con alienazione, in questo caso la libido oggettuale viene ritirata dagli oggetti esterni ed interni e viene trasformata in libido narcisistica, cioè spostata sul Sé, determinando un’esagerazione dell’autostima e una sopravvalutazione del potere del corpo e della mente (questa potrebbe essere una causa dei frequenti incidenti “del sabato sera”). E’ importante sottolineare che l’adolescenza è l’unico periodo della vita durante il quale la regressione dell’Io e delle pulsioni costituisce una componente obbligata del normale sviluppo, pagando il prezzo di un forte aumento d’ansia. In modo paradossale si potrebbe dire che lo sviluppo è bloccato se non vi è regressione.
Winnicott afferma che così come nella prima fase di separazione-individuazione, dove il bambino trae dalla madre i bisogni di contatto e di separazione, nella seconda l’adolescente soddisfa tali bisogni attraverso il gruppo dei pari che condivide e perciò allevia i sensi di colpa che accompagnano l’emancipazione dalla dipendenza e fedeltà dell’infanzia. Tale percorso lo potremmo definire “dalla separazione alla separatezza”.