Imparare il distacco: introduzione
Lavorando come psicologo e psicoterapeuta spesso mi confronto con problemi che nascono dal passaggio di tappe fondamentali della nostra vita che impongono la rottura di schemi e legami acquisiti per potersi trasformare in nuovi rapporti più consoni alla situazione che si è venuta a creare. Queste tappe sono molteplici nell’arco della vita, iniziano col trauma della nascita e terminano col distacco definitivo che è la nostra morte.
Inoltre, nel mio ruolo di responsabile del settore di psicologia presso un servizio di assistenza domiciliare a malati oncologici, spesso sono chiamato ad affiancare il paziente e il suo nucleo familiare nel decodificare, interpretare, affrontare le conseguenze psicologiche che la malattia impone, analizzando le reciproche influenze con particolare attenzione alla presenza di figli minori.
Scuole di vario grado hanno richiesto il mio intervento per affrontare i problemi connessi con la realtà della malattia grave (tumore, leucemia, Aids etc..) e soprattutto della morte rivolto a genitori ed insegnanti che si sono scoperti impreparati ad affrontare quello che appare sempre più essere un radicato tabù sociale.
Per meglio affrontare il concetto di morte-separazione, ho pensato di collocarlo come evento finale di un lungo processo di costruzioni e rotture dei nostri legami affettivi che si protrae per tutto l’arco della nostra esistenza. L’esperienza del distacco inizia con il trauma della nascita che rappresenta un passaggio violento dallo stato paradisiaco fetale a quello in cui il bambino sperimenta momenti di frustrazione e fatica, anche in seguito alla comparsa di stimoli endogeni ed esogeni che richiedono un continuo adattamento.
John Bowlby ha scritto numerosi trattati sull’argomento dove si evidenzia come la coppia genitoriale, ed in particolar modo la madre, rappresenti la palestra dove allenarsi alle continue costruzioni e rotture dei legami affettivi.
Gli etologi per primi, attraverso lo studio del comportamento animale (es. l’imprinting) e gli psicologi poi, si sono interessati al fenomeno dell’istaurarsi del legame affettivo (attaccamento) che nasce da uno stato di bisogno e necessita di un punto di riferimento costante individuato nella figura materna a cui potersi affidare .
Di conseguenza nell’essere umano è sempre presente la tendenza a strutturare solidi legami affettivi con particolari persone, percepite come più forti od esperte, che possono soddisfare bisogni di vario tipo. Questi rapporti vengono spesso influenzati da esperienze riferite alla primissima infanzia, in particolare a quelle che determinano uno stato di fiducia o sfiducia nella figura di attaccamento e che hanno prodotto l’istaurarsi di difese o anticorpi psicologici inconsci, per proteggersi da ulteriori delusioni o eccessivi carichi emotivi.
Anche se particolarmente evidente nella prima infanzia, il comportamento di attaccamento caratterizza l’essere umano dalla culla alla tomba. Le modalità di tale legame variano a seconda dell’età, del sesso, e delle circostanze, e si differenziano dalla dipendenza che non implica un legame stabile ed ha conseguenze fortemente negative.
La madre rappresenta la persona che meglio di tutte permette con la sua presenza prevedibile che il bambino cominci ad allontanarsi da lei per poi ritornare, sempre con spostamenti ed assenze maggiori, man mano che aumenta l’età. Bowlby descrive gli atteggiamenti di attaccamento, esplorazione, allontanamento e separazione che si alternano costantemente, e possono essere facilitati dalla coppia genitoriale che rappresenta una base sicura di partenza e di incoraggiamento. Il loro comportamento dovrà essere di disponibilità e comprensione nell’accogliere le reazioni emotive e ciò dipenderà anche dal modo in cui i genitori hanno vissuto gli stessi problemi emotivi nella loro infanzia.
Dal punto di vista della tecnica della comunicazione, Paul Watzlawitch distingue due tipi di famiglie: quella aperta nella quale circolano le emozioni e la loro espressione, e quella chiusa dove non è consentito esprimere in gruppo le reazioni emotive, ma dove ognuno le vive in privato. Il comportamento di attaccamento del bambino, in quest’ultimo caso, viene poco considerato e le manifestazioni che accompagnano i sentimenti di separazione vengono etichettate come infantili; e quando il bambino subirà una grave perdita, invece di dare libero sfogo alle sensazioni, tenderà a soffocarle.
Il sentimento che funge da fulcro nell’oscillazione attaccamento/separazione è l’angoscia di separazione: questa reazione normale nasce dalla paura e dalla sensazione di rischio che ad esempio prova uno scalatore quando perde i contatti con il capo cordata. Vi sono alcune situazioni familiari dove il rapporto è organizzato su basi ricattatorie specie in presenza di malattie croniche, o dove i ruoli sono invertiti, in questo ambito è facile che si instauri un attaccamento del tipo ansiogeno, cioè il costante timore di perdere la figura di attaccamento. Ne consegue la possibilità di diventare ipercoscienziosi ed oppressi da sensi di colpa fino a sviluppare fobie. Il caso di un attaccamento ansiogeno nascerà anche in quei bambini che hanno dovuto farsi carico delle difficoltà mentali (depressione) della madre o magari accudire i fratelli minori: queste persone, una volta cresciute, tenderanno sempre a farsi carico dei genitori in un rapporto basato sull’ostilità e sulla colpa, negandosi il bisogno di attenzione. Queste persone, oltre a subire un crollo dopo una perdita o una separazione, possono entrare in crisi anche quando i figli si sposano o hanno figli a loro volta ; nel caso di un lutto questo sarà più lungo e caratterizzato da sensi di colpa.
Inoltre vi è un’altra categoria di persone che hanno un atteggiamento emotivamente distaccato nei confronti dell’attaccamento, oppure si rivelano incapaci a mantenere un legame affettivo stabile: la loro storia è quella tipica di coloro che hanno vissuto una prolungata privazione delle cure materne. Ognuno di noi tende a riprodurre i modelli di comportamento subiti, così come un bambino tiranneggiato tenderà a tiranneggiare gli altri una volta adulto. Bowlby ha studiato numerose personalità disturbate a causa di perdite di cure materne concentrate dalla nascita ai 6 anni.
Il bambino di 2-3 anni che ha avuto uno sviluppo affettivo adeguato se sperimenta la separazione dalla madre ha delle reazioni conseguenti quali:
– la protesta, che può durare molti giorni e che più tardi si potrà calmare, ma solo in
apparenza,
– la preoccupazione come espressione di una sofferenza più interiorizzata,
– la disperazione quando le sue speranze non avranno avuto esito favorevole.
Spesso la fasi di speranza e disperazione si alternano, sino al disinteressamento e distacco se l’assenza della figura materna supera i 6 mesi. Se l’assenza è inferiore, le reazioni saranno dapprima di indifferenza, seguita da sentimenti ambivalenti e poi da continue richieste d’attenzione: in ognuna di queste fasi il bambino è soggetto ad eccessi d’ira e a comportamenti distruttivi e violenti.