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Stomia: sessualità e persona (3 di 3)

Stomia: sessualità e persona (3 di 3)

LA GESTIONE MULTIDISCIPLINARE DEL PROBLEMA: FUNZIONI, RESPONSABILITA’ E PRASSI

L’operatore sanitario all’interno della relazione con il paziente è sempre rapportato con un gruppo di lavoro ed un’istituzione che sono il contesto ed il “contenitore” entro il quale spende capacità professionali e relazionali.

 In particolar modo, lavorando con pazienti stomizzati, parte integrante del programma terapeutico dovrebbe essere costituito da:

  • Una corretta informazione pre-operatoria che possa prospettare anche le conseguenze successive all’intervento e gli effetti collaterali.
  • La presa in carico del paziente da parte di un’equipe multidisciplinare (chirurgo, infermiere, stomaterapista) per quanto riguarda la fase pre e post-operatoria e la successiva applicazione e convivenza con la stomia.
  • L’aiuto a reintegrare nella propria identità lo schema corporeo, l’elaborazione dei cambiamenti e la possibilità di poter continuare a vivere una vita piena.

 

Il lavoro dell’operatore, all’interno dell’istituzione sanitaria, non è dato solo dalla collaborazione consapevole tra professionisti, ma anche dai legami inconsci che spesso intervengono nell’ambito della produttività: medici, infermieri, stomaterapisti, esercitano il proprio mandato all’interno di un’istituzione che prevede regole e statuti specifici nell’ambito della cura della malattia, con i quali devono fare i conti sia singolarmente, sia come parte di un gruppo di lavoro. L’equipe non è solo la somma di ruoli e funzioni, ma un insieme di esperienze, affetti, rappresentazioni comuni dotato di una storia, di una memoria affettiva ed una progettualità condivisa.

Il curante si trova quotidianamente a contatto con incontri, rapporti ed eventi che stimolano la riflessione e lo mettono di fronte alla malattia (ed alle limitazioni ad essa connesse), alla sofferenza ed a volte alla morte: temi sui quali spesso pazienti e familiari chiedono di avere risposte, spiegazioni e di trovare un senso ed un nome che plachi le proprie paure rispetto a quanto sta loro accadendo. Il gruppo dei curanti acquisisce, in questo senso, anche un ruolo pedagogico e contenitivo.

Il paziente ha bisogno di qualcuno che lo accompagni aiutandolo a comprendere ciò che gli sta accadendo; il malato necessita di un interlocutore che non può più essere solamente il medico, ma tutta l’equipe multidisciplinare, per questo sono fondamentali i rapporti all’interno del gruppo di lavoro e con l’istituzione. E’ importante che il paziente sia messo nella condizione di con-dividere, che significa avere un rapporto con i curanti che lo aiutino a capire e vivano con lui ciò che sta accadendo. Questo necessita che l’equipe multidisciplinare sia strutturata come un gruppo di lavoro capace di maternage, ovvero la capacità della mente di accogliere e contenere l’altro. Lavorare in questo modo con il paziente ed i familiari, significa aiutarli anche ad acquisire altri punti di vista e nuovi significatio in merito alla malattia, agli interventi, alle terapie, all’eventuale stomia: non solo  osservare ciò che è “rotto”, ma sviluppare la capacità di vedere ciò che ancora si può realizzare nonostante la presenza della malattia e delle limitazioni ad essa connesse.

Come affrontato in precedenza, il paziente vivendo una situazione particolarmente ansiogena come quella della patologia e della conseguente applicazione di una stomia, struttura sovente meccanismi psichici di tipo regressivo, sviluppando bisogni spesso basilari, ma di grande importanza per lui: come il bisogno di sentirsi accudito, compreso, toccato, ma soprattutto il bisogno di percepirsi all’interno di un gruppo di curanti che non si spaventano di fronte alla sua condizione e con i quali può condividere profondamente questo momento della propria vita, anche in merito ad aspetti specifici ed intimi come quello della sessualità (fortemente collegato alla convivenza con alcuni tipi di stomie).

Il ruolo fondamentale dell’equipe multidisciplinare è quello di potersi dividere compiti e funzioni (specifici della propria professionalità), rimanendo però un unico gruppo che possa avere punti di vista diversi sul paziente, creando tra i curanti un confronto arricchente e stimolante. Lo stomaterapista, in particolare, ha un ruolo chiave per quanto riguarda la possibilità che il paziente integri la stomia nella propria vita e che possa elaborare il cambiamento, non sentendolo come la fine di una vita comunque appagante. Uno dei primi obiettivi è proprio quello di far comprendere l’utilità ed il funzionamento della stomia, accompagnato alla graduale accettazione del “corpo estraneo” che possa lentamente essere integrato nel proprio funzionamento quotidiano. Per il paziente è fondamentale sentire che il curante si interessa e si occupa della sua stomia, potendo concepirla non solo come qualcosa di completamente spiacevole, da nascondere e da allontanare, ma anche alla quale interessarsi insieme ad una persona che possa insegnargli a “prendersene cura”. E’ fondamentale che il paziente possa insieme al curante affrontare qualsiasi dubbio, pensiero, paura legate alla stomia, potendo anche sentirsi nelle condizioni di verbalizzare aspetti più intimi come il timore per i cattivi odori, i sentimenti di disgusto, la compromissione della vita sociale ed affettiva, gli aspetti della sessualità che necessariamente risentono di questo cambiamento.

L’obiettivo di un buon lavoro di gruppo, in questo ambito, è di rendere i curanti consapevoli della relazione con il paziente che passa attraverso il “fare” della cura, tollerando il timore della sofferenza spesso taciuto, razionalizzato, negato, o esorcizzato, senza la possibilità di dare uno spazio di ascolto al paziente o un terreno sul quale possa sentirsi libero di esprimere i propri vissuti complessi. Per accogliere i bisogni del paziente, è importante sviluppare un’attenzione emotiva ed un ascolto partecipativo che non saturi la sua domanda d’aiuto, una capacità che richiede prima di tutto al curante l’elaborazione dei propri bisogni narcisistici e la capacità di potersi porre di fronte alle proprie paure ed ai propri vissuti legati al senso del limite. La funzione dell’equipe multidisciplinare (intesa come gruppo: più della somma delle parti) è di aiutare gli operatori  sanitari a trovare la “giusta distanza” relazionale ed emotiva dalla sofferenza del paziente, per evitare una troppo stretta identificazione, ma anche un rigido distanziamento difensivo (dove il camice spesso rappresenta simbolicamente un’armatura che protegge dall’emergere di emozioni dolorose, negative e destrutturati). La pluralità del gruppo di lavoro rappresenta la pluralità della mente e della vita, che conduce al cambiamento: da un aspetto narcisistico (legato al ruolo, alle capacità tecniche di medico e stomaterapista), a trovare la giusta distanza relazionale con il paziente accogliendolo come persona altra da sé e non solo come organo malato da guarire. Questo fa ripensare alla metafora dei porcospini di Schopenhauer, dove trovare la giusta distanza emotiva nella relazione con il paziente permette al curante di passare (come ci ricorda Bion) dal narcisismo al socialismo, giocando il proprio ruolo professionale e sé stesso come uomo in una relazione che fa bene al paziente, ma anche a sé, nutrendo la propria mente, ritrovando il significato del fare, una tensione alla verità che allontana il rischio sempre presente della sindrome del burn-out.

È il gruppo a dare vita all’istituzione, attraverso l’insieme delle proprie produzioni rappresentative, affettive, sensoriali: è l’accettazione della reciprocità del rapporto a divenire il fattore trasformativo, riconoscere di avere bisogno degli altri in un lavoro di equipe significa anche definirsi, assumere i propri limiti e confrontarsi con i propri vissuti di onnipotenza narcisistica.