Vissuti di una Psicologa ai tempi del Coronavirus
Prima di essere una psicologa sono un essere umano con dei propri stati d’animo e vissuti come tutte le persone.
Questo momento catastrofico di emergenza sanitaria nazionale indistintamente fagocita tutti, nelle modalità più disparate ma con una matrice comune di drammaticità che coinvolge ognuno e che risulta essere ormai non più arginabile, proprio come uno tsunami che travolge una realtà creando una frattura improvvisa tra un prima e un dopo.
Tutti senza distinzioni stiamo vivendo momenti di paura, solitudine, angoscia, perdita, impotenza, cesura con la socialità, ciò che ci contraddistingue singolarmente risiede nell’intensità con cui ciascuno di noi li vive, come tamponiamo e ce ne difendiamo, e alle risorse interne a cui attingiamo per farvi fronte. Impensabile ormai come questo fenomeno non possa impattare sulle nostre esistenze che per quanto singolari rimandano intrinsecamente ad un immaginario collettivo costellato da fattori emotivi trasversali.
Tutto è cambiato, la quotidianità è sovvertita, la mia vita è cambiata, la mia quotidianità è cambiata sia da un punto di vista personale che professionale. Non si può non essere ovattati in un limbo di incertezze a cui fa appello la nostra fragilità di essere umano. Siamo chiamati costantemente ad integrare, uniformare e allenare il principio di realtà ma oggi è indispensabile farlo anche con quello di precarietà ed incertezza in cui ci si trova catapultati.
Il “contatto” con il mondo esterno è venuto meno con violenza, restrizioni sempre più drastiche che il Governo è chiamato a dirimere, tali da innescare vissuti di perdita, professionalmente incentivata dalla distanza del setting, il luogo fisico ed emotivo dell’incontro con l’altro, quindi perdita della relazione con l’altro, la componente essenziale del mio lavoro è la relazione. La sintonizzazione emotiva, tipica della relazione d’aiuto, fa connettere i propri stati d’animo con l’altro, un “altro”che oggi richiama una “sintonizzazione d’emergenza” doverosa di contenimento e sostegno,dunque un cambiamento di rotta nei contenuti nonche’ nelle modalità che la distanza fisica impone e che rimanda alla necessaria digitalizzazione che oggi più che mai consente, e direi fortunatamente, di “connetterci” con chi in questo momento ne ha più bisogno(skype, messenger, whatsapp, telefono, videocall). Questa “socialità digitalizzata “è da intendere, in particolar modo in questo momento, come un collante universale dei rapporti umani che rende possibile la vicinanza, soprattutto emotiva con i propri cari e chi come me sostiene le persone in difficoltà.
La perdita è dolore, un dolore per il dolore, questo quello che risuona interiormente quando penso ai familiari delle vittime che miete con ferocia questo virus, persone che perdono il lavoro, persone che perdono la propria bussola interna bisognosi di condivisione, contenimento, supporto. Lo scenario che si prospetta, che sarò chiamata ad affrontare, sarà costellato da “lutti spezzati” dalla mancanza della giusta ritualità e presenza come è naturale e giusto che sia.
La città desertificata, è ciò che impatta maggiormente ai miei occhi, fa riecheggiare silenzi assordanti che ravvivano paure quasi ancestrali, paure instillate nell’individualità di ciascuno e nella collettività facenti parte dell’esistenza umana con cui ci si trova a fare i conti senza nessuna possibilità di remissione.
Quando siamo messi all’angolo insieme alle nostre paure e alla nostra angoscia vi è la tendenza di dare un’identità esterna al pericolo, che è a noi “sconosciuto”. Questa esperienza ci prepara a pensare che l’“altro” siamo noi, prima il pericolo era l’extracomunitario, poi la Cina, poi gli anziani e alla fine siamo noi un pericolo per gli altri. E’ essenziale forgiare la propria esclusività, il proprio egoismo volgendo uno sguardo più profondo al mondo non solo interno ma anche esterno.
Ma tutto questo mi pone di fronte anche alla possibilità di appellare quelle che possono essere le risorse, gli aspetti positivi che ogni condizione seppur catastrofica comporta. La trasformazione, il riassettamento del mio vivere quotidiano. Riconoscere il valore del tempo, darmi la possibilità di trasformare il senso di precarietà ed incertezza, fermarsi in un mondo in cui la velocità è tutto e che non lo consente, una quotidianità ora fatta di spazi dedicati al silenzio, alla noia che possono diventare proficui per allenarmi a pensare, rivolgere il pensiero tra me e me. La relazione con l’altro, con i familiari e gli altri significativi grazie alla digitalizzazione trova una sua forma e un una sua strutturazione durante la giornata, il valore aggiunto a ciò che si considera routinario ma tanto prezioso per il nostro equilibrio.
Dott.ssa Maria Barbara Zottarelli Psicologa, Specializzanda presso l’Istituto Italiano di Psicoanalisi Individuale e di Gruppo (IIPG) sede di Milano, operatore di Training Autogeno, Esperta in Psicodiagnostica e Valutazione Psicologica.