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Lo slancio e il rifugiarsi

Lo slancio e il rifugiarsi

Qualcuno mi ha segnalato un brano di Albert Camus a cui merita dedicare qualche riflessione anche senza riferirla alla trama del romanzo, dice:

“raramente ci confidiamo con chi è migliore di noi. Preferiamo schivarne la compagnia. Il più delle volte ci confessiamo con chi ci somiglia e condivide le nostre debolezze. Quindi non desideriamo né correggerci né essere migliori: bisognerebbe prima che fossimo giudicati in colpa. Aspiriamo soltanto a essere compresi e incoraggiati nel nostro cammino. Insomma vorremmo nello stesso tempo non essere più colpevoli e non fare lo sforzo per purificarci. Non abbastanza cinismo e non abbastanza virtù. Non abbiamo energia né per il male né per il bene”.

Quello che Camus qui descrive potrebbe essere definito una “debolezza del vivere” un atteggiamento in fondo rinunciatario dove manca lo slancio ad affrontare il cambiamento, anche inteso come evoluzione personale; allora i sensi di colpa per la propria inerzia e ignavia si alternano al desiderio e –forse al diritto- di non essere noi stessi lo sprone di noi stessi; e poi verso cosa? Verso qualcosa che va cercato e che non sappiamo cosa sia.

Sono sentimenti di debolezza molto comuni che caratterizzano alcune persone per temperamento, ma con cui tutti in generale ci confrontiamo nella vita, magari per brevi periodi nelle fasi di maggior fragilità, quando si cerca rifugio nella rinuncia a combattere. In particolare succede nell’adolescenza, quando la strada da intraprendere è ancora molto confusa, il bisogno di sicurezza e identità è molto alto e si trova una risposta nell’adesione e omologazione a modelli esterni.

Ancora una volta, occorre chiedersi quanto le nostre scelte provengano da un nostro reale bisogno come individui e non da “etichette” che le mode o altri hanno scelto per noi, ed è necessario far questo per “crescere”. Quando l’attitudine al non combattere prosegue negli anni dell’età adulta, non a caso si giudica “immaturo” chi tende ad essere troppo indulgente con sé stesso.

La maggior parte delle persone (anche chi non ha ricevuto una educazione che mette in primo piano il “senso del dovere”), diventano adulti affrontando la vita, talvolta perché portati dalle responsabilità che si trovano di fronte, talvolta perché adottano come un valore lo stile di vita superattivo, talvolta perché il non-cimentarsi, il non mettersi alla prova accettando le sfide li fa davvero sentire in colpa.

Con la terza età infine ci si accorge che gli anni che abbiamo alle spalle sono proprio tanti, così tanti che che il tempo scarseggia, le opportunità lasciate cadere e il tempo trascorso inoperoso non si recuperano più. E’ il momento in cui nel bilancio su sé stessi il valore principale diventa lo sforzo di essere sé stessi, magari migliorandosi. E forse questa saggezza che arriva con gli anni dice che la vita va possibilmente sperimentata e attraversata, anche nelle cose faticose o dolorose, perché ci riveli il maggior valore che possiamo trarne, ognuno con il suo destino.