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Grazie all’ossitocina

Posted by on 14:00 in Psicologia | 0 comments

Grazie all’ossitocina

L’ossitocina è un ormone prodotto dall’ipotalamo; come tutti gli ormoni ha una pluralità di funzioni, ma è noto perché riveste diverse funzioni nel parto, nell’allattamento e anche nello stabilire un forte legame fra madre e neonato. Ma è anche responsabile, più in generale, dell’attitudine delle donne alla cura dei piccoli: le donne infatti hanno in circolo una percentuale di ossitocina sensibilmente più elevata degli uomini. Anche nel maschio interviene nella regolazione di diverse funzioni, come il piacere sessuale, ma negli ultimi anni gli studiosi di questo ormone hanno scoperto e sottolineato nuove “magiche” funzioni di impronta più sociale. L’ossitocina possiede la capacità di regolare i comportamenti nelle relazioni sociali grazie a quelle che chiamiamo le sue proprietà psicoattive: rende più empatici e meno aggressivi; regola la pressione arteriosa e aumenta sia il senso di appartenenza e di fiducia, sia le difese immunitarie; favorisce e consolida quindi anche l’attaccamento emotivo tra uomo e donna rendendo più fedeli. Non è mancato chi ha pensato di sintetizzarla e venderla pronta all’uso sotto forma di spray nasale, nel caso quella sintetizzata dal nostro cervello non fosse sufficiente. A questo effetto sono probabilmente riconducibili le caratteristiche di molte fragranze e molti sapori conosciuti come afrodisiaci. Ma un’altra notizia fantastica arriva da una università giapponese: alcuni ricercatori hanno recentemente misurato i livelli di ossitocina di alcuni cani e dei loro padroni prima e dopo le coccole insieme. Nei cani la quantità di ossitocina crescevano del 130%, mentre addirittura triplicava nei loro padroni. Nel campione di controllo -niente coccole- la quantità restava invariata. Dunque, quando cane e uomo interagiscono, il legame emotivo si crea e rinforza con lo stesso meccanismo dello scambio di sguardi fra mamma e neonato o di un abbraccio fra amanti! Una mia amica tiene a precisare che vale anche per i gatti, ma della pet-therapy vi parlerò un’altra volta. Attraverso lo sguardo e il tatto passano le emozioni: è linguaggio non verbale e ci ricorda che siamo mammiferi e che siamo parte della...

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Un caffè = 10 Euro

Posted by on 15:04 in Psicologia | 0 comments

Un caffè = 10 Euro

A Milano talvolta ho visto sui banconi dei bar cartelli che indicano tre prezzi diversi per un caffè. “Un caffè” e basta costa 10 euro, un caffé con l’aggiunta di un ” grazie” costa 5 euro, mentre un caffè corredato da un “per piacere” costa un euro, il prezzo ormai standard a Milano. Se fossimo in altre zone d’Italia il caffè corredato da un “per piacere” costerebbe ancora meno, ma non è questo il punto. Il punto è che, malgrado le apparenze, il cartello spiritoso non serve solo per divertire, e non si tratta di una semplice e comune richiesta di buone maniere: questo cartello ci dice molto di più, perché “un caffè” e basta è un ordine. Ma anche “un caffè, grazie” può essere un ordine, benché mascherato; siamo tutti d’accordo che dipende dal tono con cui diciamo le parole, ma un “grazie” espresso in questo modo assume in anticipo che l’altro eseguirà la richiesta, che non potrà esimersi dall’eseguire il compito; è giusto quindi che in questo singolare listino prezzi il “caffè, grazie” costi 5 volte un caffè normale. E se è vero che “per piacere”. “per favore” o “per cortesia”, sono parole che possiamo esprimere in modo del tutto meccanico, è anche vero che chiedere aggiungendo “per piacere” equivale -che ne siamo consapevoli o no – ad esprimere in modo esplicito il rispetto della libertà di un altro essere umano di esaudire o non esaudire la nostra richiesta, anche se in quel momento si trova dietro il banco di un bar. Le sfumature fanno la differenza. un caffè = 10 € un caffè, grazie = 5 € un caffè, per piacere = 1...

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Corso di perfezionamento in psicoterapia in ambito oncologico e nella malattia organica grave: tecniche a confronto

Posted by on 15:42 in Evento | 0 comments

Corso di perfezionamento in psicoterapia in ambito oncologico e nella malattia organica grave: tecniche a confronto

A cura di Luigi Valera e Paola Gabanelli “ Non esiste una tecnica o una soluzione generale, poiché ciascuna soluzione per sua stessa natura deve essere adattata al soggetto”  Mitchell (1997)  Premessa: Molte scuole di psicoterapia si sono occupate della malattia organica grave, affrontando gli aspetti psicologici e terapeutici del paziente e del suo contesto famigliare attraverso la loro griglia teorico-clinica. Questo ha comportato di conseguenza una buona risposta alla sofferenza del paziente che ne ha tratto giovamento, però è mancato un momento di confronto tra colleghi provenienti da diversi orientamenti teorici. Scopo di questo corso è quello di arrivare ad una esposizione degli approcci teorico-clinici quali: modello cognitivo, modello bioenergetico, modello sistemico e modello psicodinamico. Inoltre verranno approfondite le caratteristiche della clinica e della terapia in ambito dell’età evolutiva, in ambito gruppale ed  in quello dell’equipe. Attraverso la presentazione dei case study si confronteranno i diversi orientamenti clinici che permetteranno ai discenti la costruzione di una cornice di riferimento e una sintesi personale che permetta l’integrazione dei diversi fattori terapeutici ,che dovranno essere utilizzati in base alla specificità del paziente, del suo contesto e del settting di cura. I vari docenti dopo aver dispiegato individualmente la teoria, metodo e pratica clinica, si confronteranno negli obiettivi, negli snodi clinici e nei vari fattori terapeutici attraverso una griglia comune.   Modalità: Sono previste lezioni frontali  e gruppi di confronto e discussione tra intramodelli. Si terranno  gruppi di lavoro allo scopo di arrivare a  concettualizzare quello che si fa realmente con questi pazienti  stimolando dei cambiamenti nel modo di praticare la terapia. Verrà inoltre distribuito materiale didattico. Il corso si volgerà in 4 giornate  di 8 ore ciascuna con frequenza di sabato e domenica 7/8 marzo- 28/29 marzo 2015 , con orario 9.00 -13.00/14.00-18.00 Sede: I.I.P.G. Via Bronzino , 3 –  Milano Tel. 0266986908, indirizzo mail : sedemilano@iipg.it   Per maggiori informazioni, costi e modalità di iscrizione vi invitiamo a scaricare la brochure completa del corso e la scheda di...

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Liberarsi dal dolore è una sfida di gruppo

Posted by on 18:02 in Psiconcologia | 0 comments

Liberarsi dal dolore è una sfida di gruppo

Il dolore oncologico è un intreccio di dolore fisico e psichico, tant’è che ai farmaci antalgici spesso si accompagnano quelli per ridurre l’ansia o la depressione. Il senso di perdita, la paura, la solitudine della condizione di malato, sentirsi un peso per la famiglia sono tutti aspetti di una sofferenza che annichilisce e toglie speranza e vitalità al malato. Da alcuni anni presso l’Ospedale San Giuseppe di Milano si è avviato un progetto di supporto psicologico per pazienti oncologici in fase di terapia o di recidiva della malattia. Lo strumento utilizzato è quello del gruppo di psicoterapia che permette ai pazienti di confrontarsi e meglio conoscere le proprie emozioni e il proprio vissuto: infatti, è più facile riconoscere il proprio dolore vedendolo riflesso e manifesto nelle esperienze degli altri. Inoltre il progetto permette ai malati di condividere l’esperienza di paura e incertezza sul futuro, uscendo così dalla solitudine esistenziale in cui  rischiano di confinarsi e offre loro la possibilità di essere parte attiva in una esperienza di supporto psicologico e di aiuto reciproco. Il nuovo adattamento che l’esperienza della malattia richiede è agevolato dall’appartenenza ad un gruppo che può costituire un ambito di sostegno tra la solitudine della malattia e il mondo fuori con il quale occorre continuare ad interagire, un “cuscinetto” che si trasforma in “trampolino”.   Testo tratto dall’articolo di Luigi Valera Liberarsi dal dolore è una sfida di gruppo in “Sanità al Futuro”, n.25, periodico di informazione del Gruppo MultiMedica Per informazioni: Gruppo MultiMedica , Ospedale San Giuseppe Milano, Unità di Oncologia, tel. 02...

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Onco Stories

Posted by on 22:42 in Evento | 0 comments

Onco Stories

Esperti e pazienti insieme per affrontare gli effetti collaterali della terapia oncologica Il 16 Aprile a Gallarate alle ore 18.00 presso MAGA, Museo Arte Gallarate – Sala Conferenze        ...

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Vibrare all’unisono sulle stesse corde delle emozioni

Posted by on 15:38 in Pubblicazioni | 0 comments

Vibrare all’unisono sulle stesse corde delle emozioni

Post pubblicato in data 16/01/2014 sul blog Noi di Vidas da Luigi Valera Un nostro collega, Roberto Moroni, medico e responsabile per la formazione dell’area medica, ci ha inviato questo messaggio che vorrei condividere con voi: «Ieri sera ho trovato questo video che vi giro volentieri perché mi ha fatto venire in mente l’espressione vibrare sulle stesse corde delle emozioni». Ho trovato questo video interessante per mostrarvi la rappresentazione del concetto della parola ALL’UNISONO, che è un termine utilizzato in campo musicale per indicare l’effetto di due o più suoni di uguale altezza, anche se di diverso timbro, uditi simultaneamente. Questo concetto si potrebbe anche utilizzare nell’ambito della Comunicazione. L’essere umano non può non comunicare: anche il silenzio è una forma di comunicazione. Le modalità comunicative possono essere: verbale cioè quella delle parole; non verbale cioè fatta dai gesti, dalle pause e dai toni, che è il modo per la trasmissione delle emozioni e dei sentimenti, quelle che vanno direttamente al cuore senza passare dalla mente! Poi abbiamo anche la metacomunicazione, cioè la coerenza tra le parole che si dicono e la modalità con cui vengono dette. Per esempio, se io dicessi: “Ti voglio bene!” e lo dicessi senza guardarti negli occhi e con tono distaccato, ci sarebbe una contraddizione tra quello che dico con le parole e la comunicazione non verbale. Un’altra modalità della pratica comunicativa è quella circolare tra due persone: quello che uno dice viene attentamente ascoltato dall’interlocutore la cui risposta viene influenzata da quello che gli è stato appena detto, poiché ha modificato il suo punto di vista precedente. Nelle relazioni d’aiuto, dove c’è uno sbilanciamento tra l’assistito e l’assistente, è importante l’aspetto della competenza comunicativa e dell’empatia, cioè la capacità di mettersi all’ascolto dell’altro senza pregiudizi e aspettative, ricordandoci come noi ci siamo sentiti quando ci siamo trovati in analoghe situazioni difficili. Quando invece si lavora in équipe o in un piccolo gruppo è molto importante l’aspetto della sintonia, dettato dall’insieme di modi di dire e di fare che si sono stratificati nel tempo tra quelle persone. Queste devono conoscersi personalmente ma soprattutto professionalmente per sapere cosa fanno e come lo fanno. Un esempio potrebbe essere l’équipe della sala operatoria, dove ogni gesto del chirurgo viene previsto e seguito da azioni da parte degli altri operatori. Un altro esempio, meno tecnico e più vicino a una relazione affettiva, potrebbe essere quello del direttore d’orchestra e degli orchestrali, dove l’apporto sonoro di uno strumento è fondamentale in un determinato tempo e modo rispetto al risultato della sinfonia. Una comunicazione all’unisono è la capacità empatica di mettersi in relazione con l’altro sapendo operare insieme in una direzione comune. Fondamentale per chi come noi fa del rapporto con l’altro la base del proprio...

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PSICONCOLOGIA
 – UNA SPECIALIZZAZIONE MULTIPROFESSIONALE PER CONOSCERE E ATTRAVERSARE LA SOFFERENZA E IL DISAGIO DEL PAZIENTE, DELLA SUA FAMIGLIA E DELL’OPERATORE SANITARIO

Posted by on 11:05 in Psiconcologia | 0 comments

PSICONCOLOGIA
 – UNA SPECIALIZZAZIONE MULTIPROFESSIONALE PER CONOSCERE E ATTRAVERSARE LA SOFFERENZA E IL DISAGIO DEL PAZIENTE, DELLA SUA FAMIGLIA E DELL’OPERATORE SANITARIO

  Responsabile Scientifico dr. Luigi VALERA Premessa Sempre più persone richiedono un supporto e/o intervento per rispondere alla sofferenza provocata dal disagio nell’affrontare una malattia organica grave in fase terminale di un proprio congiunto (lutto anticipatorio).
Nella nostra società e cultura attuali si assiste quotidianamente alle difficoltà che i singoli incontrano nel “fare il lavoro del lutto” a seguito della morte di una persona amata, o della perdita e separazione (da persone, oggetti, situazioni, progetti, certezze) conseguenti a grandi cambiamenti che intervengono nel corso della vita. Nella frenesia della quotidianità, caratterizzata da un assetto culturale come il nostro, il tema della morte e del confronto con il limite è sempre più concepito come qualcosa da allontanare, da non pensare e di cui non parlare, invece di poterlo percepire come qualcosa di intrinsecamente appartenente alle nostre esistenze che è necessario attraversare. Nella nuova pubblicazione del DSM V vi è inquadrato il Lutto come un evento traumatico con caratteristiche specifiche sia nella diagnosi che nella clinica.
L’esperienza del lutto porta con sé vissuti di profondo dolore connessi alla perdita, alla separazione, al senso di vuoto e di solitudine. Il processo di elaborazione del lutto richiede, sovente, tempo e aiuto per poter passare da un vissuto di perdita, ad un vissuto di integrazione di ciò che manca. Il corso si prefigge l’obiettivo di fornire gli strumenti per accompagnare e lavorare nell’area del lutto a livello individuale e gruppale: creare contesti individuali e gruppali a finalità terapeutica, può divenire un’esperienza di accoglimento, accompagnamento e cura per vivere la fase fondamentale di elaborazione del lutto. Obiettivi Gli incontri a carattere teorico, clinico e di supervisione sono tenuti da psicoterapeuti esperti che operano nel campo da molti anni.
Il modello di insegnamento utilizzato, in sintonia con la tradizione culturale dell’I.I.P.G., è basato sull’apprendimento dall’esperienza e privilegia lo scambio interattivo e la libera discussione di gruppo. Destinatari Psicoterapeuti, psicologi, operatori sociali e sanitari che operano nel campo delle cure palliative e in RSA e in campo geriatrico. Inoltre è anche consigliato ad operatori ed insegnanti che operano nell’ambito operativo scolastico che sempre più si trovano ad affrontare realtà legate alla separazione ed alla morte.   Durata Il corso si svolgerà da febbraio 2014 a novembre 2014 in 10 incontri di 4 ore ciascuno che si terranno nella giornata di sabato mattina.
E’ già stato richiesto al Ministero, per Psicologi e Psicoterapeuti che completino entrambi i livelli, l’accreditamento dei crediti ECM. Programma 1 febbraio 2014: Psiconcologia 1 marzo 2014: La sofferenza in oncologia: quali linguaggi e quali difese 15 marzo 2014: La malattia e il corpo 5 aprile 2014: Come comunicare le cattive notizie 10 maggio2014: L’età pediatrica in oncologia 14 giugno 2014: Lavorare in équipe multidisciplinare 13 settembre 2014:L’aggravamento della malattia e il malato terminale 4 ottobre 2014: Lavorare con il lutto e per il lutto 8 novembre 2014: Supporto e psicoterapia al malato oncologico 29 novembre 2014: Il volontariato in oncologia Metodologia Didattica Lezioni frontali caratterizzate da una discussione con esperti clinici del settore, accompagnata al 50% di lavoro di gruppo condotto da esperti psicoanalisti di gruppo, con lo scopo di trasmettere una metodologia del sapere basata sul lavoro di gruppo ad indirizzo psicoanalitico. Informazioni Per informazioni o per ricevere la scheda di iscrizione contattare la segreteria I.I.P.G. telefonando allo 02 66986908 (lunedì, mercoledì e venerdì dalle 9 alle...

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Comunicazione: la scelta di una verità

Posted by on 17:25 in Psiconcologia, Pubblicazioni | 0 comments

Comunicazione: la scelta di una verità

Per una reale ed autentica alleanza terapeutica L’espressione “alleanza terapeutica” dopo Freud è stata riproposta da una psicoanalista americana E. Zetrel negli anni ’50 come sorta di “partito comune contro i nemici”, cioè una collaborazione e intesa di lavoro basata sulla conoscenza e fiducia che il paziente ripone nel medico per la realizzazione di un progetto terapeutico (consenso informato). In questo contratto non sempre esplicitato, il paziente si impegna su un piano maturo-razionale ad accogliere le indicazioni e spiegazioni del medico, mentre su quello emotivo e non sempre consapevole, influenzeranno anche altri fattori come le esperienze precedenti con altri medici e/o nei confronti delle figure da cui il paziente è stato curato, in particolare durante la propria infanzia. Negli anni successivi si è anche evidenziato come questa alleanza può essere facilitata e/o ostacolata dalla personalità di chi cura, cioè dalla capacità di mettere in gioco la “propria umanità” e partecipazione emotiva, cercando di creare un’atmosfera di lavoro fatta di comprensione, preoccupazione e rispetto per il paziente. Quindi una capacità di leggere non solo gli aspetti oggettivi della scienza, ma anche quelli soggettivi della coscienza del paziente, cioè il suo modo di percepire e reagire alla malattia. Un altro concetto importante è l’aspetto dinamico e trasformativo nel tempo della relazione curante-curato (così come la lievitazione nella preparazione del pane). In questo rapporto ci possono essere momenti di impasse/resistenza da parte del paziente che vanno valutati non solo come ostacoli al progetto, ma come tentativi del malato di adattamento al cambiamento, cioè una reazione vitale  che da una situazione sconosciuta che cerca una consapevolezza.  La figura del curante dovrà essere a conoscenza di questo processo d’ adattamento che avrà i limiti dettati dalla soggettività del paziente, dal suo contesto famigliare e soprattutto dal tempo che nelle cure palliative  ritma le trasformazioni fisiche e psichiche. Questa responsabilità relazionale degli operatori sanitari è fondamentale nella fase di fine vita dove i fattori tecnici della medicina  lasciano il posto a quelli umani (high tech- high touch), dove la cura del paziente nel suo contesto diventa fattore principale e dove il clima relazionale diventa terapeutico nel facilitare la consapevolezza del processo del morire. La giusta distanza relazionale che permette ai curanti di essere efficaci  non dipende solo dalla loro personalità, ma anche dalla capacità di confrontarsi e lavorare in équipe, un lavoro gruppale  che permette di vedere le relazioni di coppia curante-curato in un ottica più ampia ed arricchitata dalle dinamiche del gruppo. Anche il rapporto tra uno psicoterapeuta che opera nell’ambito delle cure palliative  e il paziente ha delle sue specificita’, come per esempio da chi e perche’ viene richiesto l’intervento dello psicologo, se per mediare le difficolta’ della gestione della cura, per il bisogno direttamente esplicitato del paziente, oppure attraverso la lettura di un operatore sanitario che ha colto tra le righe del paziente un bisogno psicologico. Questo rapporto si basa sul supporto ed accompagnamento emozionale del paziente e/o del care giver e del contesto famigliare nel processo del morire. Anche in questo caso l’alleanza dipende dalla capacita’ del terapeuta di leggere, interpretare ed esplicitare i bisogni del paziente che potrebbero essere espressi razionalmente, ma che potrebbero avere una valenza inconscia in contrapposizione a quanto dichiarato razionalmente (differenza tra il detto e l’agito). Per esempio un famigliare potrebbe chiedere un eccessivo accanimento terapeutico,...

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La relazione tra mente e corpo nelle situazioni al limite: Gli stati vegetativi

Posted by on 16:57 in Pubblicazioni | 0 comments

La relazione tra mente e corpo nelle situazioni al limite: Gli stati vegetativi

  Durante una lezione di clinica psicoanalitica sul rapporto tra mente e corpo ad un certo punto ci si è cominciati a chiedere cosa accade quando questa relazione è profondamente segnata da un corpo ferito, traumatizzato, in un certo senso privo di vita come nel caso di “occhi che non vedono”, di “corpi che non sentono” e che non percepiscono, di “menti che non pensano”, cosa accade? La riflessione su questi temi e sui risvolti che essi hanno sulla pratica clinica non è ancora sufficiente; forse si è abituati a pensare “all’altro che curiamo” come “all’altro afflitto dalla malattia mentale o da una sofferenza intrapsichica e/o familiare”, ma quando poi entra in gioco, prepotentemente, il corpo ci si deve porre tanti interrogativi che riguardano non solo il senso della malattia per quella persona, ma anche il senso della malattia per noi e per chi ne è colpito, più o meno, direttamente. In un certo qual senso credo che la pratica clinica debba tener conto di alcuni aspetti corporei più di quanto faccia normalmente, quando vi è un corpo gravemente malato è necessario tener conto di certi aspetti tra i quali non ultimi quelli medici ed etici, oltre che rendersi conto che in certi casi la percezione di se e il modo di esperire la realtà per queste persone è completamente diversa. La mia esperienza con queste tematiche è cominciata tanto tempo fa quando una persona a me cara è morta di cancro. Già allora ho cominciato a domandarmi cosa volesse dire avere il cancro per una persona e cosa potesse significare nella mia famiglia avere il cancro. Il cancro lo avevamo in un certo senso tutti, così come credo che sia per tutti coloro che vivono accanto ad un familiare malato. Ed a seconda della malattia che affligge il nostro caro, il rischio di sentirsi travolti e sopraffatti può essere molto forte e drammatico. La fisicità della malattia e l’imprescindibilità dell’esito ad essa connessa, in certe situazioni cliniche sono aspetti che segnano profondamente e che si legano all’elaborazione del lutto e al tema della perdita, al dover convivere con una malattia con un certo esito mortale come accade per esempio con certe patologie neurologiche. Quattro anni fa ho poi cominciato a lavorare presso l’Istituto Neurologico Besta di Milano in un gruppo di ricerca che si occupa di disabilità. Pur non lavorando come clinico, ho avuto modo di interrogarmi spesso su cosa voglia dire stare in un corpo che alle volte è una prigione ed anche un’immensa barriera. Al Besta arrivano persone con patologie molto gravi e, come spesso accade per le patologie neurologiche, di tipo degenerativo (Parkinson, Alzheimer, Tumori cerebrali, Scleorsi Laterale Amiotrofica, Corea di Huntigton, Tetraparesi, Paralisi cerebrali infantili, solo per citarne alcune). Ho visto tante volte cosa possa voler dire un corpo all’interno del quale è racchiusa una grande sofferenza e mi sono chiesta come si possa riuscire a lavorare dal punto di vista clinico e psicoterapeutico con persone così malate. Per altro verso con questo lavoro ho però anche imparato a ridare dignità alla mente e al corpo di queste persone ridimensionando alcuni preconcetti ed imparando a conoscere e a capire che, anche nei casi più difficili e nonostante l’urgenza medica o il forte impatto del corpo malato, esiste  un mondo intrapsichico che merita ascolto e...

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Le solitudini estreme

Posted by on 15:26 in Psiconcologia | 0 comments

Le solitudini estreme

Premessa  La condizione umana della nascita e della morte sono due estremi che hanno in comune la fragilità e la dipendenza dagli altri e che richiedono  accoglienza e  cura.  Entrambi necessitano di una famiglia e di una casa dove vivere l’evento. Il legame famigliare è caratterizzato dall’accoglienza e dall’umanizzazione dove si vive e si sperimenta la donazione e la fiducia, che rimarrà un ricordo indelebile per tutta la durata della propria esistenza e che si riattualizzerà quando la propria autonomia diminuirà ed aumenterà la necessità di dipendere dalle cure altrui. Ma la famiglia come istituzione culturale è soggetta alla storia e alle sue trasformazioni: siamo passati da una struttura rigida dei ruoli e dei valori ad una liquida dove ognuno deve essere estremamente duttile ed elastico, caratterizzato dall’omogeneità dei ruoli, con conseguente ricaduta sui figli; e dal conformismo alle idee e valori dominanti. Ne fanno le spese le diversità, la capacità di critica costruttiva e la responsabilità all’interno della famiglia.  La  nostra società è del tipo consumista,   caratterizzata dalla soddisfazione immediata dei bisogni, del piacere e dall’assenza del limite “perché no” proprio come nel paese dei balocchi di Pinocchio.  Tutto questo intasamento ed eccesso di godimento si scontra però con la realtà della vita quotidiana che è  dettata dal  limite: un limite è la Natura  e la Natura del Corpo Umano e quindi della Salute e della Malattia  e della decadenza e della Morte. La conseguenza è la negazione del limite, di questo aspetto di realtà   della vita: di conseguenza quando l’essere umano invecchia o si ammala  è costretto in un profondo isolamento sociale , con un grande senso di solitudine, infatti non esiste una rappresentazione sociale della morte poichè  siamo nella società definita Post Mortale, dove la morte è presente, ma solo accidentalmente.   La   medicina ufficiale è anch’essa l’espressione della nostra società, si esprime con una modalità tecnologica e assettica. I medici fanno sempre più fatica a far accettare al paziente e ai suoi famigliari i limiti della clinica sino ad arrivare all’accanimento terapeutico, al medico viene delegato il compito del mantenimento della salute a tutti i costi (0nnipotenza e no limits) Sempre più si utilizzano psicofarmaci  per rispondere al disagio e alla sofferenza   del vivere e del morire. VIDAS è nata 30 anni fa nell’ambito della medicina e specialistica delle Cure Palliative per poter proporre il proprio modello assistenziale ai malati terminali di cancro prima, e di altre patologie poi. Con il presupposto che anche l’ammalato grave, così come un bambino piccolo ha bisogno di essere riconosciuto per la sua unicità, di  possedere la propria identità con un nome proprio, con le sue radici, di un’alleanza simbolica con il proprio nucleo famigliare, di una casa.  Pertanto necessità di Cure adeguate e  personalizzate che vengano confezionate da Vidas su misura, come degli abiti (dal latino Pallio) e che si modificano nel tempo in base ai cambiamenti fisici, psichici e del proprio contesto famigliare e sociale. L’assistenza veniva e viene fornita prevalentemente nelle case degli ammalati, e ormai da 10 anni anche in hospice: Casa Vidas con lo scopo di dare una mano e un sollievo ai famigliari e il loro malati che necessitano di una Casa più adeguata alle loro necessità contingenti.   La solitudine del Morente Nella nostra società è aumentata la distanza culturale tra i vivi...

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